Messaggio del 25 novembre 2004
Cari figli, in questo tempo vi invito tutti a pregare per le mie intenzioni.In modo particolare, figlioli, pregate per coloro che non hanno conosciuto l’amore di Dio e non cercano Dio Salvatore.Siate voi, figlioli, le mie mani tese; con il vostro esempio avvicinateli al mio cuore e al cuore di mio Figlio. Dio vi ricompenserà con grazie e ogni benedizione. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Messaggio del 25 giugno 2009
Cari figli, gioite con me, convertitevi nella gioia e ringraziate Dio per il dono della mia presenza in mezzo a voi. Pregate che nei vostri cuori Dio sia al centro della vostra vita e testimoniate con la vostra vita, figlioli, affinchè ogni creatura possa sentire l’amore di Dio. Siate le mie mani tese per ogni creatura, affinchè ognuna si avvicini al Dio dell’amore. Io vi benedico con la materna benedizione. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Messaggio del 25 novembre 2009
Cari figli, in questo tempo di grazia vi invito tutti a rinnovare la preghiera nelle vostre famiglie. Preparatevi con gioia alla venuta di Gesù. Figlioli, siano i vostri cuori puri e accoglienti affinchè l’amore e il calore comincino a scorrere attraverso di voi in ogni cuore che è lontano dal Suo amore. Figlioli, siate le mie mani tese, mani d’amore per tutti coloro che si sono persi, che non hanno più fede e speranza. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Da quando la Vergine SS. ha dato grande efficacia al Rosario,

non c'è problema né materiale né spirituale che non si possa risolvere con il S.Rosario e con i nostri sacrifici.
..E' l'arma più potente con cui possiamo difenderci in battaglia
Suor Lucia, veggente di Fatima

festa

giovedì 16 settembre 2010

Giovane medico rampante? No, in missione!

www.siciliainformazioni.comPaolo ha 27 anni ed è un medico. Dalla Sardegna è partito in missione per un anno. Destinazione: Ecuador

(di Paolo Zanolla)

È da più di un mese che sono qui in Ecuador, partito dalla mia diocesi di Cagliari, come laico fidei donum per un anno.
Scrivo da Borbon, un paese nella regione di Esmeraldas, a nord dello stato. Qui la popolazione è prevalentemente nera. Il mio entrare in questo mondo procede con enormi ricchezze e scoperte e le difficoltà non mancano. Ogni giorno sono tante le emozioni, gli stimoli, gli spunti di riflessione, gli interrogativi e contraddizioni e la testa corre sempre a mille dietro tanti pensieri.
Qui a Borbon vivo e condivido le mie giornate con tre missionari, due italiani e uno del Malawi, li accompagno nelle loro attività e incontri nelle comunità nella foresta.
Lascerò Borbon e andrò a San Lorenzo dove lavorerò per un periodo nell’ospedale, e mettere così a servizio la mia
professione di medico. 
Ogni giorno qui la mattina con i missionari recitiamo le lodi e leggiamo il vangelo. La vera sfida è poi vedere quelle parole del Vangelo che si fanno carne, si fanno vita quotidiana, nella povertà, nella violenza che corre nelle strade e nelle divisioni delle famiglie.
È una realtà molto diversa. È un mondo complesso.
E mi rendo conto quanto è importante entrare nella cultura e costumi del luogo anche per capire come comportarsi.
Ci sono molto pescatori; a volte, mi fermo a guardarli dalla riva del fiume e vedo in loro, persone semplici e rudi, a volte dal cuore grande, ma a volte violente e superficiali, spesso ubriache, quei pescatori a cui Gesù oggi invita a gettare le reti dall'altra parte, che invita a fare pescatori di uomini. E la Parola di Dio perde così il suo lato romantico, poetico e si fa vita vera…
E poi sto riflettendo tanto sul senso di missione. Mi accorgo sempre di più di quanto missione è qui come da noi! Anche qui, come da noi, il rischio è fermarsi a quello che c’è già, chiudersi in se stessi, trovarsi solo con quelli che hanno accolto il messaggio di Gesù e non rivolgere invece lo sguardo ai più lontani, ai tanti, tantissimi che non partecipano. Cosa si può fare per loro? Cosa vuol dire missione? Come si può annunciare e testimoniare oggi Gesù?
Una difficoltà forte presente qui è risvegliare il senso di impegno nella gente, nella vita cosi come nella fede, la chiesa spesso ti trasforma “in negozio”, la gente viene per ricevere il battesimo, il sacramento e poi prosegue come sempre la sua vita e a volte sparisce per tempo fino magari al battesimo del figlio successivo. Quasi nessuno qui si sposa, nessuno vuole impegnarsi seriamente.
 
Condivido con voi questo mio primo ricordo appena arrivato.
Sono partito per 4 giorni insieme a un’infermiera italiana e un medico ecuadoregno alla volta di Mataje Alto, un villaggio nel cuore della foresta, dove vivono gli indios Awa. Già il viaggio per arrivare è stato un susseguirsi di emozioni, mi sembrava di essere in un documentario tra le pagine dei racconti degli antichi viaggiatori.

Siamo partiti dalla città di San Lorenzo, con il servizio trasporti pubblico verso i villaggi dell’interno, tutti in piedi, stretti, tenendosi forte, fino a Guadualito, un piccolo centro circondato dalla foresta. Da lì abbiamo proseguito in fuoristrada, e la strada cambia: è si larga, ma si fa dissestata e fangosa, molto fangosa, essendo questa anche la stagione delle piogge.
A un certo punto abbiamo lasciato la macchina e da lì abbiamo proseguito a piedi.
E lì c’è stato l’incontro con gli indios Awa.
Non sono gli indios dipinti nel volto, vestiti di foglie o cose simili. Ormai, i tempi sono cambiati e anche nella foresta sono arrivate tantissime cose; gli indios hanno rapporti con le città, quindi sono vestiti normalmente, semplicemente, ma i loro tratti, i loro volti in quello scenario avvolgente della foresta, con i suoi colori e rumori creavano una scena quasi magica, fuori dal tempo.

Insieme a una decina di loro e una mula (non posso non menzionarla perché è lei che ha portato il mio zaino fino al villaggio) abbiamo camminato per più di due ore nella foresta, con gli stivali di gomma ai piedi per via del fango e lo sguardo curioso per tutto quello che ci circondava. Innanzitutto, gli Awa che, quando non parlavano con noi, comunicavano tra loro nella loro affascinante e antica lingua, e poi la foresta con i suoi frutti misteriosi di cui continuavo a chiedere il nome perché non riuscivo a memorizzarli, come il boroho, l’anona, la guaiava, il jackfruit… e gli alberi alti, un ponte di assi e funi sospeso sul fiume, proprio come quelli dei film!
Vedere poi danzare le farfalle, libere e leggere è uno spettacolo, sembrano davvero il tocco finale di Dio nel capolavoro del creato, delle pennellate veloci ed estrose di colore e fantasia… verdi e gialle, blu elettrico, nere e grigie, alcune con ali grandi come la mia mano.

Siamo arrivati a Mataje Alto, una radura nella foresta, con alcune case di legno messe intorno allo spiazzo centrale, tra cui una casa vuota dedicata a noi, e il centro di salute, unica struttura in muratura. La maggior parte degli Awa non vive però lì; loro sono sparpagliati con le proprie case nella foresta lì intorno.
A fine giornata, per noi tutti infangati e sudati è giunto il momento di lavarsi: facendo come gli Awa fanno, e prima di loro gli antenati per secoli e secoli, siamo andati a fare il bagno nel piccolo fiume, avvolti dalla foresta dove bambini giocano, la gente si lava, le donne lavano tutto. Una scena fantastica (per gli amici medici: tranquilli, non c’era lo schistosoma, il parassita che si trova nelle acque).
Il giorno dopo abbiamo iniziato il lavoro medico. Dal mattino, sono cominciate ad arrivare le varie famiglie Awa.
Rosanna, l’infermiera, misurava la pressione agli adulti, pesava e misurava i bambini, e poi tutti pian piano andavano dal medico. Io all’inizio assistevo il medico, guardavo le sue visite, e cominciavo a familiarizzare con la situazione; poi, dopo un po’, lui mi ha proposto di andare nell’altro ambulatorio e mettermi a visitare anch’io, per velocizzare il lavoro. E cosi è avvenuto il mio esordio come medico in questa terra.

È stato molto interessante ma duro e complesso.
Mi sono accorto pienamente di quanto è importante, per svolgere al meglio l’attività medica, conoscere anche il contesto ambientale, sociale e familiare delle persone, sapere le loro abitudini, la loro cultura, per capire cosa ci può essere dietro ogni sintomo, cosa loro stessi intendono.
Mi trovavo davanti tantissime persone che lamentavano tutti gli stessi sintomi (episodi di vertigine, mal di testa, dolori muscolari); poi, pian piano, anche con l’aiuto di Rosanna e dell’altro medico che ogni tanto consultavo, cominciavo a capire che tutti gli Awa, come caratteristica, viaggiano a valori di pressione ai limiti dell’ipotensione, camminano per tantissime ore al giorno, e spesso saltano un pasto. Gli uomini e le donne lavorano molto col machete, ed è un lavoro parecchio pesante.
Poi c’erano persone con diarrea, influenza, infezioni respiratorie, lesioni cutanee e altro ancora.
Lì con noi avevamo molte medicine a disposizione, ma ovviamente nessuna possibilità di fare esami o ecografie. Tuttavia, per i casi gravi, o sospetti, c’e sempre la possibilità di portarli all’ospedale di San Lorenzo, e cosi è stato per due donne in gravidanza che sono tornate con noi in città per fare dei controlli.
Una delle cose più difficili, a cui non ero abituato, è che lì non c’è la visita individuale nell’ambulatorio, ma la visita familiare. Al proprio turno la famiglia entrava e, in una piccola stanzetta, mi trovavo davanti i due genitori e, a volte, 5, 6 o anche 8 figli da visitare. E cosi, tra quelli che ne avevano veramente bisogno, quelli che non volevano perdere l’occasione della presenza del medico e quelli (soprattutto i bambini) che non volevano essere da meno dagli altri… in ogni famiglia tutti i componenti richiedevano la visita e necessitavano di qualcosa.

A volte, era proprio un caos e il tutto a ritmi elevatissimi, non certo con il tempo che meriterebbe ogni visita, con il silenzio e la concentrazione adatti.

Per darvi un’idea, il primo giorno io e l’altro dottore abbiamo visitato più di 100 persone!
Comunque, è stata un’esperienza molto arricchente e interessante, ce l’ho messa tutta e me la sono cavata; anche con la lingua, pian piano prendevo sempre più confidenza e fiducia.
Il giorno dopo, ancora visite ma abbiamo finito in tarda mattinata; così, poi, ho avuto il tempo per riposare, guardare, ascoltare…

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